Giappone on the road

Dalle Alpi ai samurai, fino a Kyoto e Hiroshima

11 giugno 2021 - Gerry Filippi - 15 Min

Inutile sottolinearlo, l’on the road rappresenta il modo migliore e più intrigante per immergersi nella cultura di un popolo. Specie come quello giapponese che, quanto a cultura, ne sono ricche pure le pietre, dato che spesso sono anche protagoniste di racconti e leggende. Un buon viaggio organizzato, una buona guida, ti permettono di sapere molto di un Giappone antico e moderno, e sono fondamentali. Un’auto al seguito ti aiuta a completare il tuo desiderio di conoscenza di una nazione, arricchendo il tuo bagaglio personale di ricordi.


A mie spese ho scoperto che la cosa più difficile da fare a Tokyo è lasciarla, non nel senso di quella strana malinconia che ti inizia a colpire sul finire di un viaggio, ma in quello più letterale. Uscire da quel dedalo di incroci e autostrade interne che farebbe impazzire anche la mente più sana e tranquilla della terra. Ma siamo in Giappone e, ovviamente, tutto è risolvibile. La cosa più semplice il ritiro. Nei sotterranei di un edificio adiacente la stazione dei pullman di Hamamatsucho, quartiere di Minato, un’agenzia noleggio della Nissan (che credo abbia il monopolio in Giappone dal momento che ogni diversa società di noleggio si rifà a Nissan stessa), il cui addetto, dopo aver fatto la registrazione ed il controllo dell’auto, ci lascia liberi di iniziare la nostra avventura. Due sono le cose importanti da ricordare: la patente internazionale, da richiedere presso gli uffici della propria motorizzazione civile e, secondo, cercare di organizzare l’itinerario del proprio viaggio in modo da consegnare l’auto presso lo stesso ufficio del ritiro. Il motivo è semplice: la tassa di drop off, cioè la riconsegna dell’auto in città diversa dal ritiro, è molto cara in Giappone. Oltre a non essere economico il noleggio stesso.

Grazie ad un navigatore, impostato fortunatamente in inglese, tentiamo di lasciare il centro di Tokyo per dirigerci in periferia. Traffico sostenibile, ma la quantità di strade, sopraelevate e non, ha fatto sì che riuscissimo a lasciarci la città dopo oltre due ore. Senza aver sbagliato mai un solo incrocio!!!

Impostato, erroneamente, il percorso non a pedaggio, superando decine di incroci e paesini della prefettura di Nagano, arriviamo dopo 7 ore al villaggio di Yudanaka. Se non fosse stato per il navigatore avremmo potuto tranquillamente dire di essere persi in una qualsiasi prefettura anonima dell’isola di Honshu, tra le alpi giapponesi. Il nostro alloggio era collocato in un’altrettanto anonima e buia stradina che, data l’ora ed il freddo, non lasciava presagire niente di buono.

L’hotel resort Bozanso, ci ha accolti con un cartello con il nostro nome, incollato sulla porta d’ingresso, con la scritta “Please ring, Ms Francesca”. Immaginate la scena, un hotel totalmente al buio e con un misero bigliettino con un invito a suonare per l’apertura. Ci facciamo coraggio e suoniamo, ma la porta era comunque aperta ed entriamo. Da dietro la reception spunta un uomo in giacca da camera e pigiama, con un cespuglio di capelli arruffati dietro la notevole stempiatura, che in un ambiente saturo già di puzza di umidità e di “incensi chiamiamoli particolari”, ci da il benvenuto in un inglese ancora più maldestro del nostro. Dopo un po’ di incertezza iniziale, prendiamo confidenza con Heyan, e ci dirigiamo verso la nostra camera, una japanese room, con tanto di porte scorrevoli in carta di riso, dietro alle quali erano riposti i nostri futon per la notte, e le yutaka (kimono corto, più confidenziale) per poterci muovere in hotel. Camera unica per uomini e donne, eravamo in tre infatti, ma per l’onsen, quello che Heyan chiamava hot spring, cioè i bagni termali, occorreva separarci. Il lato maschile era poco più che un bagno come anticamera ed una piccola sala con una vasca rettangolare alla cui estremità sgorgava acqua a 38 gradi. Senza dubbio un bagno piacevole, tranne per quel momento molto imbarazzante in cui proprio Heyan, che in una chiacchierata ci aveva rivelato di essere il proprietario del resort insieme alla sorella, arrivò nudo per il suo bagno serale. Sapevamo dell’uso di frequentare gli onsen nudi, ma trovarcisi crea sempre un attimo di vergogna. Ovviamente noi non lo eravamo.

Dopo il bagno rigenerante, prima di andare nella sale per la cena, girovaghiamo un po’ per l’hotel e la sensazione sempre più crescente era quella di trovarsi sul set del film Shining, l’horror basato sul romanzo di Stephen King. Ci aspettavamo da un momento all’altro le gemelline sul triciclo.

Tutto molto semplice e tradizionale a ben guardare, fino alla cena, servita dal tuttofare Quasimodo (ovviamente ribattezzato da noi in questo modo), e naturalmente squisita.

La mattina ha tutto un altro aspetto, sia l’hotel che il villaggio. Non ci eravamo accorti del fiume che lo attraversa ed è proprio al di là del fiume che, al parcheggio libero, lasciamo la nostra auto per percorre a piedi la strada che, addentrandosi in un sentiero nella foresta, ci porta al Jigokudani snow monkey park, cioè il parco delle scimmie di montagna, i macachi giapponesi. Esperienza incredibile, perché si passa dall’ambiente freddo della foresta, soprattutto di mattina presto, al caldo umido della fossa termale dove, tra saliscendi, scale in legno, sentieri in roccia, si arriva alla vasca di acqua calda dove, beate loro, le scimmie si crogiolano al caldo delle acque.  Famiglie di macachi, dal più tenero cucciolotto dalla folta pelliccia, al fiero capo branco con i suoi canini in mostra. Importante! Non avvicinarsi troppo per le foto, perché sferrano certi colpi alla Mike Tyson niente male e possono essere anche molto pericolosi, dato lo stato di assoluta libertà in cui vivono.


Riprendiamo il nostro cammino per raggiungere in serata Kanazawa.


Kanazawa


 Piccola città dell’ovest dell’Honshu, raccolta, turisticamente parlando, tra i suoi due fiumi che l’attraversano, Sai-gawa river e l’Asano-gawa river. Difatti, il castello di Kanazawa, il parco Kenroku-en e la Higashi chaya street, la via della antiche sale da the, si sviluppano proprio all’interno o lungo il corso dei due fiumi. Sicuramente, ciò che più ha di attrattivo Kanazawa è il giardino di Kenroku-en, definito come uno dei tre più bei giardini del Giappone, per la cura costante del paesaggio, nipponico in ogni suo aspetto. Un angolo di paradiso raccolto intorno ad un bellissimo stagno, in cui la presenza delle imprescindibili carpe ne fanno un ulteriore motivo di visita. Alberi secolari, piccoli templi e costruzioni sull’acqua, fanno di questo parco un luogo in cui trascorrere piacevolmente una mattinata, sosta ideale tra le visite del castello e del quartiere di Higashiyama.


Chicca della città il famoso tempio Ninja, il Myouryuji. Questo tempio, ancora aperto e funzionante, rappresenta un esempio di quella che la storia conosce come arte ninja, ovvero l’arte di difesa più ingegnosa, che attraverso astuti trabocchetti, finte porte o finestre, passaggi segreti e trappole nascoste aveva la funzione di difendere il signore feudale dagli attacchi esterni. A dire il vero in questo tempio buddista i ninja non ci misero mai piede, ma è stata proprio per la sua trasformazione interna a guadagnarsi l’appellativo. Nel periodo feudale, pare che per non ostentare ricchezza nei confronti dello Shogun, i ricchi signori non potessero costruire edifici più alti di due piani, come questo tempio. In realtà, al suo interno, proprio per i motivi prima detti, i piani arrivano addirittura a 7, proprio a causa dei sistemi di difesa adottati.

La sera Kanazawa, sempre in tema on the road, si ritrova nei locali, alcuni dei quali molto spartani, situati lungo il saigawa River. Ottima birra, la Kyrin, ed ottimi piatti a base di pesce.

Di nuovo in strada alla volta di Kyoto, ma lungo il tragitto decidiamo di fare una deviazione significativa che ci porta, dalla prefettura di Ishikawa, a sconfinare in quella di Gifu, per far sosta al bellissimo villaggio storico di Shirakawa-go. Collegato in epoca moderna da una comoda strada, un tempo ci si poteva accedere solo attraversando un ponte in legno, ora sostituito da uno in acciaio.

L’atmosfera di serenità che si respira in questo villaggio ai piedi delle montagne è tipica di un Giappone medievale, dove la gente conduce la propria esistenza con semplicità, godendo dei frutti della terra e della natura. Tutto un po' bucolico, ma mai avuta la sensazione di una farsa ad hoc, bensì un senso di benessere tra quelle case con i tetti in paglia e le viuzze con i piccoli orticelli e le botteghe artigianali, che se non fosse stato anni luce dalla civiltà, uno il pensierino lo può pure fare sullo stabilirsi lì.


Da Shirakawa-go riprendiamo la via del mare del Giappone (quello dell’est), entrando nella prefettura di Kyoto, e percorrendone la frastagliata costa, ricca di scenari mozzafiato, per poi puntare dritti al suo capoluogo.

Kyoto, la bellezza del Giappone imperiale

Kyoto, una delle antiche capitali, non è una città paragonabile alle altre megalopoli. Difatti, con il suo milione e mezzo di abitanti non è nemmeno vicina ai numeri di Tokyo, Yokohama o Osaka, ma senza ombra di dubbio può essere definita una delle più belle città al mondo. Per vari motivi: numerosi siti Unesco, cultura millenaria, vitalità, natura e cucina. Molti pensano che non si possa nemmeno immaginare il Giappone antico, senza fare tappa in questa città. Facilmente raggiungibile grazie anche alla sua vicinanza, circa mezzora, con l’aeroporto internazionale del Kansai, a Osaka, ma anche a 2 ore di treno veloce da Tokyo.

Modernità, ma soprattutto tradizione, sono i due termini che si addicono benissimo a Kyoto. L’unica cosa che risulta un po' complicata è proprio la dislocazione dei maggiori siti d’interesse. E non avendo una rete metropolitana sviluppata come quella di Tokyo, senza dubbio il taxi è un mezzo molto utilizzato, perché la rete di trasporti di superficie soffre un po' delle bizze del traffico. Avendo a disposizione l’auto, decidiamo di partire con il giro visite con quello che viene definito come uno dei simboli del Giappone, il tempio di Kinkaku-ji, nel nord della città. Meglio conosciuto come tempio del padiglione dorato, per distinguerlo dal Jinkaku-ji, quello d’argento, s’impone in tutto il suo splendore, a mio parere verso il tramonto, quando la luce abbagliante del sole cambia intensità e tutti i riflessi del rivestimento dorato influenzano i colori del lago su cui è collocato e del parco intorno.

Veramente una meraviglia, specie nelle giornate in cui il cielo è sgombro da nubi.


Da qui ritorniamo in auto ed attraversiamo tutta la parte nord in direzione ovest fino al quartiere di Arashiyama, per trovarci in quella che è un altro simbolo della città, la foresta di bamboo. Tronchi altissimi e fittissimi, fino quasi a non percepire la luce del giorno, pur essendo molto spogli e con chiome ombreggianti cariche di foglie. Una bellezza quasi anonima, forse dovuta al gran numero di visitatori, ma che certamente nelle ore giuste della giornata sa manifestarsi in tutta la sua intima meraviglia. Grande sorpresa, invece, per il parco adiacente alla foresta, perché sfodera tutta la sua bellezza nel paesaggio che si apre a scendere verso il Katsura river, uno dei due fiumi di Kyoto, (l’altro è il Kamo, più protagonista in centro città), perché anche qui il tempo sembra essersi fermato: dal vecchietto traghettatore sulle barche tradizionali che sfruttano la debole corrente del fiume, al ponte in legno, al versante della collina così densamente ricoperto dalla vegetazione. A ben dire questo è uno dei punti panoramici migliori della città durante il periodo della fioritura dei ciliegi. Sul finire della serata riusciamo a raggiungere il lato sud della bellissima stazione di kyoto per la consegna dell’auto. Il lato nord è quello più scenografico, dominato dal verticalismo della Kyoto Tower e dei super edifici intorno. Lungo una delle strade laterali, a circa mezzo km, il Dozen Ryokan è stata la nostra dimora per 4 giorni. Una struttura molto semplice, ma tipicamente tradizionale, dove ogni passo sul legno era uno scricchiolio di storia.

La sua posizione strategica ci ha permesso, semplicemente svoltando a destra dopo il suo ingresso, di raggiungere dopo 2km a piedi, la Karasuma Dorii, l’arteria cittadina dei centri commerciali e dei grandi alberghi, delle mille luci e dei mille volti. Ma, come spesso succede, basta svoltare l’angolo e la fortuna ti presenta il pass per qualcosa di meraviglioso. Il primo di questi pass a Kyoto si trova proprio percorrendo questa via, fino al kamo river, quando sulla sinistra si apre a noi una strettoia nota al mondo come Pontocho Alley, la via delle vecchie locande della città, tanto stretta ed angusta, ma così carica di fascino e traboccante di vita. Percorre tutto il lungo fiume sulla destra, ed alcune di queste taverne sono veramente deliziose e non per tutte le tasche.


Secondo pass, tornando sulla Karasuma ed attraversando il ponte sul fiume, dopo appena qualche centinaio di metri si entra nel quartiere di Gion, il quartiere delle geishe. Queste eteree e sfuggenti figure, il cui arrivo è annunciato dal rumore dei loro zoccoli, sono uno spettacolo sempre più raro da avvistare, perché le professioniste, e non le apprendiste Maiko, che sono anche disponibili a concedersi ai turisti per qualche foto di rito, sono esclusiva solo di ricchi signori, legati profondamente alla tradizione. Ne sono una dimostrazione le carissime prenotazioni nei ristoranti in cui le più famose si esibiscono nelle loro danze e spettacoli teatrali.

La notte porta consiglio su come iniziare la giornata con la scorpacciata di cultura che ci aspetta. Decidiamo di percorrere la passeggiata del filosofo, nella parte settentrionale del quartiere storico di Higashiyama, nei pressi del Ginkakuji, il tempio del padiglione d’argento. Il sentiero, che prende il nome dal famoso filosofo giapponese Nishida Kitaro che lo percorreva meditando, ogni giorno, fino all’università, si snoda lungo un canale ricoperto dai ciliegi e da un dedalo di vie e templi e case tradizionali, che i 2km di lunghezza che lo compongono fino al grandioso tempio Nanzenji sono poco più che una passeggiata. In questo luogo così tipicamente nipponico, non è difficile trovare ottime sale da the e piccole caffetterie a conduzione familiare dove trascorrere una mezzora di relax. Proseguendo per circa altri 3km, anche se sarebbe preferibile farli in taxi, si giunge ad una delle meraviglie non solo della città ma del mondo intero, dal momento che il sito risulta finalista tra le 7 meraviglie del mondo moderno: il tempio di Kiyomizu-dera, la millenaria costruzione in legno, edificato sul sito della cascata Otowa (infatti il nome Kiyomizu dera significa “ tempio dell’acqua pura”), ed edificato senza l’ausilio di chiodi o elementi metallici. L’imponenza e la bellezza del panorama che si può ammirare dal suo interno sono degni di un sito Unesco.


Ultima tappa della giornata, la collina sacra di Fushimi-inari Taisha. Prendendo la Nara Line e scendendo alla fermata Inari, appena dopo la stazione ci accoglie il grande Torii, la porta sacra, preludio all’ingresso del santuario che poi prosegue con costruzioni minori su tutta la collina, anch’essa chiamata Inari dal nome del patrono degli affari. Di seguito alle prime costruzioni la collina fu ricoperta da centinaia di torii lignei laccati di rosso, tutti dono di aziende giapponesi. E’ considerato uno dei templi più importanti di tutta la nazione e la presenza di turisti lo testimonia, difatti sono milioni quelli che, ogni anno, affollano i sentieri lungo la collina.

Salire e perdersi all’interno della collina, tra il verde della vegetazione ed il rosso delle porte, è un’esperienza quasi surreale, anche perché, pur essendo in città, non se ne percepisce assolutamente la presenza neanche lontanamente.

L’ultima giornata a Kyoto la ricorderò per due motivi: il primo è la visita del Nara Park, all’interno della vicina città di Nara, anch’essa antica capitale dell’impero del sol levante. Questo parco che brulica di daini in stato di totale libertà, tant’è vero che non è difficile avvistarli neanche in città data l’assenza di recinzioni all’esterno dello stesso, è uno dei momenti più caratterizzanti di un viaggio in Giappone. Spesso snobbata come tappa, ritengo che una passeggiata all’interno del parco, ricco di sentieri, vie colme di lanterne, piccoli e grandi templi, ma soprattutto il Todai-ji, il grande tempio costruito per contenere l’enorme statua di legno del buddha seduto, sia un toccasana per il corpo e per lo spirito. Lo stesso incontro con questi animali spesso impertinenti, ma simpatici, rende lieta la fatica dei chilometri percorsi nelle giornate precedenti.

Secondo motivo, i Dorayaki assaggiati a Kyoto la sera. Si tratta di un dolce tipico (il mio era a forma di carpa), fritto e ripieno di crema di fagioli rossi Azuki, calda e vellutata, ma mai stucchevole. Una delizia per il mio palato, un sapore che ancora adesso ricordo con gusto.


HIROSHIMA, ORRORE E STUPORE


Proseguiamo il nostro viaggio verso il sud del Giappone, questa volta usando come mezzo lo Shinkansen. Il tragitto fino a Hiroshima dura circa due ore lungo la costa che si affaccia sul mare interno. Arriviamo a Hiroshima intono a mezzogiorno. La stazione non è il via vai di Tokyo o Kyoto, ma pur sempre animata. La difficoltà maggiore era quella di dover nuovamente ricominciare ad orientarsi, ma grazie ad un’anziana guida, signore credo sui 70 che distribuiva opuscoli sulle bellezze della città, abbiamo potuto capire dove dirigerci. La linea rossa dei mezzi di superficie della città permette, attraverso un percorso chiuso, di avere un assaggio di ciò che si cerca venendo a Hiroshima. Fortunatamente il nostro hotel era su una perpendicolare del Peace Boulevard, credo la via più importante, quindi dopo il check in eravamo già subito in pista per avere una prima impressione sulla città. Il fiume Ota, che nell’attraversare Hiroshima vien deviato più volte, ha creato delle isole alla sua foce e su una di queste hanno preso posto tutti i simboli per cui questa città è tristemente nota al mondo. A cominciare dal commovente Hiroshima Peace memorial museum, l’Hiroshima Victims Memorial Cenotaph, la Flame of Peace, la Campana della Pace e, all’estremità nord dell’isola, il punto di osservazione del simbolo della città, collocato sull’isola opposta, il Memoriale della Pace di Hiroshima. Unico edificio rimasto in piedi dopo la deflagrazione della bomba atomica il 6 Agosto 1945, in maniera molto sobria, ma tremendamente violenta agli occhi, è ancora oggi raccolto in un’atmosfera di silenzio e sacralità, che tutta la città sembra ancora fermarsi a contemplare lo scempio del passato.



Oggi Hiroshima è una città moderna, con una fiorente economia ed un turismo crescente. La sera la città si raccoglie intorno, anche se sarebbe meglio dire sotto, il distretto di Hondori Street. Si tratta di una galleria commerciale coperta, data l’alta percentuale di precipitazioni che si riversano ogni anno e che permette alla popolazione di godere dei ristoranti, negozi e dei vari servizi in ogni condizione meteo.

Ma ciò che, secondo me, vale la pena di un intero viaggio in Giappone, è la visita dell’isola di Miyajima. Un luogo perfetto per trascorrere una giornata a contatto con la natura godendo dei suoi ritmi lenti, a poco più di un’ora dal caos del centro. Prendendo la Miyajima Line al centro di Hiroshima, dopo quasi trenta fermate, si arriva al molo di Miyajimagouchi dove prendere il traghetto che in 15 min sbarca i turisti o pellegrini sull’isola. Totalmente accessibile e percorribile a piedi, almeno nel suo lungomare, è un’oasi di pace e tranquillità, che ha nel santuario di Itsukushima, il famoso santuario shintoista sul mare, la sua attrazione principale, insieme al grande Torii collocato nella baia di fronte. Visitabile fin sotto le sue fondamenta, ma solo la mattina quando la bassa mare lo permette, questa enorme porta in legno rappresenta il biglietto da visita dell’isola. Senza dubbio luogo ideale per un selfie.

 

Alle spalle del santuario, che come Nara, offre la possibilità di interagire con daini in libertà, si trova la funicolare che porta sul monte, verso lo Shishiiwa Observatory, un primo punto panoramico dell’isola, anche se il migliore e più suggestivo credo sia il Mount Misen Observatory, l’osservatorio sul sacro monte Misen, raggiungibile dopo un percorso a piedi di un km circa e con un dislivello di 100m. La bellezza del sentiero va aumentando man mano che ci si avvicina alla vetta. Tra arbusti, scorci mozzafiato su calette nascoste e santuari minori, si giunge dopo aver fatto i contorsionisti, su questa struttura moderna in legno, molto scandinava nelle architetture, dalla cui posizione si gode di un panorama incredibile a 360 gradi su tutta la baia di Hiroshima. Complice la bella giornata, lo sguardo poteva correre fino a perdita d’occhio e la sensazione di essere ad un passo dal cielo era riconoscibile nei volti di tutti i temerari che, come noi, si erano spinti fin lassù. Nel ritornare a valle, anziché percorrere a ritroso, decidemmo di addentrarci nella foresta per seguire il percorso sacro che in circa 3 ore ci avrebbe riportato alla base. Anche questo sentiero, pur disconnesso e a tratti impervio, sicuramente rispecchia il suo senso di religiosità. Muschi, rocce, alberi e silenzio.

Arriviamo al molo che è gia il tramonto, e l’immagine che si apre davanti ai nostri occhi è quella del grande Torii avvolto da un’alta marea dalle sfumature setate, quasi espressione della pace raggiunta anche dalle acque del mare. Ultima notte a Hiroshima, prima di riprendere la mattina seguente il treno veloce per Osaka, direzione direttamente aeroporto del Kansai, il moderno aeroporto della città posto sul mare. Ore 23.30 partenza per il rientro in Italia.


Senza dubbio, un itinerario del genere ci ha offerto tanto, ma molto di quello che avremmo voluto vedere, probabilmente, è in un Giappone ancora più diverso di quello visto. Non esiste una sola parola che possa sintetizzare tutto il viaggio, ma tante, e tutte insieme sarebbero troppe, in contrasto, forse, con l’ideale di armonia universale che permea di sé ogni manifestazione della natura, sia essa umana o animale, che traspare in ogni momento del vivere in Giappone. Ordine, senso del sacro, profondo legame con il proprio passato, ma con una naturale propensione al futuro: mai fuori dai canoni, mai apparentemente sbagliato, cosi prepotentemente realistico. Arigatou gozaimasu!!!

 

 

 

 

 

 

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