Marocco, brivido caldo

Da Marrakech alle alte dune di Merzouga, tra le mille kasbah, villaggi berberi ed un fascino nascosto

19 maggio 2021 - Gerry Filippi - 19 Min

L’idea di partire per il Marocco non è stata maturata nel tempo, anche se ho sempre desiderato visitare quel paese. E’nata in breve ed è stata organizzata ancora più brevemente. La mia idea era quella di vivere la mia prima esperienza con il deserto del Sahara, magari perdermi per le stradine della medina di Marrakech oppure fare qualche strano incontro in uno di quei fantastici e misteriosi Riad, dal fascino antico e dall’accattivante e stilosa bellezza.


Marrakech, città dai mille volti


Si parte ai primi di maggio con un “comodissimo” volo Ryanair diretto sulla città più iconica di tutta la nazione, cioè Marrakech. Volo che parte molto presto la mattina, ma è stato un bene perché abbiamo potuto goderci una mezza giornata in più in città. Il nostro viaggio prevede un’organizzazione di un’agenzia/tour operator in loco, il cui autista Rashid ci ha prontamente accolti, dopo il disbrigo della formalità doganali (ricordo la necessità di un passaporto valido per l’ingresso in Marocco), traghettandoci, nel suo italiano sgangherato, dall’aeroporto Mènara fino al nostro hotel, un 4 stella posizionato nel quartiere di Agdal, cioè il nuovo quartiere sorto nella periferia sud della città proprio per ospitare nuovi hotel o strutture ricettive per soddisfare la crescente richiesta turistica.

Il nostro Zalagh Kasbah resort and spa, è una struttura non recentissima, ma di buon livello e con evidenti elementi decorativi dello stile marocchino: grandi lampadari in ottone battuto, enormi tappeti all’ingresso e divanetti e cuscini un po' ad arredare tutta la hall. Tavolini in marmo intarsiato e sedie in ferro battuto si ritrovano anche a bordo piscina, mentre le camere, molto sobrie ed eleganti erano tutte dai toni un po' più cupi, ma pulite.

 

Jemaa el Fna e dintorni


Dopo esserci registrati, ed aver disfatto le valigie, tuffo in piscina e un attimo di relax prima di affrontare la caotica Marrakech. La navetta gratuita, che parte ad orari prestabiliti, ci porta alla fermata davanti a Avenue Jamaa El fna, tra la piazza omonima ed il minareto della Koutobia, due dei simboli della città. Decidiamo di affrontare da soli questa famosissima piazza, il punto più turistico di Marrakech, dopo aver fatto prima una visita ai giardini della Koutoubia, che fanno da sfondo al minareto, alto 59m, ed alla moschea terminata nel 1158, una della più grandi del mondo islamico.




Il nostro ingresso nella piazza più famosa di tutto il marocco è stato quasi in sordina: qualche carrozza ai margini con alcuni turisti, un via vai moderato di locali, bancarelle che vanno via via riempiendosi. Non era come lo immaginavamo. Decidiamo di addentrarci nella medina, ignari dell’alta possibilità di smarrirsi. Il dedalo di viuzze, intersecantesi fra di loro, e di incroci, probabilmente noti solo ai veri abitanti del centro, ci ha fatto quasi subito capire che poteva essere una strada senza ritorno. La bellezza di quelle strade,  però, era tale che la paura viene in poco tempo sopraffatta dalla voglia proprio di perdersi. Forse un po' troppo esagerata, tant’è che nel momento in cui, con tutta la mappa che potessimo consultare, ci siamo resi conto che eravamo un po' ad un vicolo cieco, l’ansia ha iniziato a fare capolino. Ci siamo pure accorti di essere pedinati, ovvero la sensazione era quella, ma in realtà è stata la nostra ancora di salvezza. Un ragazzino, definiamolo guida non autorizzata, ci segue a poca distanza pronto a sfruttare il momento propizio per proporsi per un tour della medina. Senza chiedere denaro inizia così un affascinante percorso tra le varie vie più importanti, storicamente e commercialmente.




Il mercato dei fiori, quello dei tappeti, il souk del ferro, molto particolare considerando le numerose botteghe di artigiani che lavorano a mano i metalli, dando vita a delle stupende lampade e creazioni di ogni forma e utilità. Penultima tappa, l’area delle concerie e tintorie.


Senza dubbio non grandi ed affascinanti come quelle di Fez, ma anche queste rappresentano uno spaccato della vita lavorativa del Marocco e di tutta la difficoltà di sostenere un mestiere come quello. La nostra guida ci ha accompagnato in questo posto maleodorante mostrandoci, grazie all’aiuto di suo cugino (anche se più tardi abbiamo scoperto che in Marocco il concetto di cugino è molto allargato, più che altro la rete che si è creata è talmente fitta che più si è, più cugini si nominano, più attività si possono far visitare, e quindi fare spendere soldi al turista), le tecniche di lavorazione dei filati, lana e cotone principalmente, con le successive fasi della colorazione. Direi che sbagliando, s’impara. Sicuramente dietro l’errore di procedere autonomamente con queste visite, la fortuna di questa piccola guida ci ha permesso di capire molto di più di quelle antichissime tecniche. Strizzando le matasse colorate, con un movimento basculante, per prendere la rincorsa, dei ragazzi lanciano le matasse colorate in aria, facendole incastrare nella discesa su alcuni fili issati tra le mura dei palazzi. Stese al sole, dopo alcune ore sarebbero state tirate giù e portate in un magazzino per essere selezionate. Risultato finale un enorme numero di pashmine coloratissime, vendute a prezzi esorbitanti solo perché si poteva assistere allo “spettacolo”, ma sul cui acquisto nessuno si sarebbe mai opposto. Le facce non erano proprio rassicuranti, sia degli operai, che dei venditori. Ma fatto sta che comunque era un qualcosa che non ci saremmo mai aspettai di vedere.




Finito con questa esperienza veniamo accompagnati in una erboristeria, in loco definita farmacia, che aveva più l’aspetto di un’antica bottega omeopatica, ricca di rimedi naturali, pasticci medici, minerali e tante piante dai poteri miracolosi. La nostra cospicua spesa, per non fare brutta figura, comprende vari pacchetti di intrugli di erbe aromatiche pro digestione, gonfiori vari e diuretiche, creme viso e corpo, cristalli di allume di rocca per disinfettare, e pezzi di resina d’ambra, il migliore acquisto della giornata, utilizzatissima nell’industria dei profumi come base per le creazioni dei marchi più noti al mondo.

Uscendo dal dedalo di vicoli, negozietti di antiquariato, venditori di pashmine e di ogni sorta di prodotti, ringraziamo con una mancia la nostra piccola guida e ci rimettiamo sulla piazza Jemaa el Fna. Tutto un altro colpo d’occhio. La piazza è gremita di gente che cammina, chiacchera, acquista e ozia in ogni dove. Un tamburellare continuo, quasi percettibile a livello epidermico, accompagna ogni passo tra la folla ubriacante. Venditori di te in livrea tradizionale, incantatori di serpenti, ambulanti, ballerini e chi più ne ha più ne metta. Data l’ora pensiamo che sia opportuno cenare prima di rientrare in hotel e scegliamo uno dei piccoli ristoranti che si affacciano, con i loro rooftoop, sull’area della piazza. Lo spettacolo tra la musica che sale dal basso, i vapori e gli odori delle cotture di ogni genere che vengono consumate per strada, e l’umidità della sera, rendono l’immagine di Jemaa el Fna una foto quasi d’altri tempi. Come immutata negli anni. La terrazza più famosa è senza dubbio quella del “Le Gran Balcon du Café Glacier”.



TOUR GUIDATO DI MARRAKECH


Il nostro tour guidato della città inizia con l’aiuto di Rashid, il nostro fidato autista, e di Kaudja, la guida esperta ed ufficiale che con il suo italiano accademico ci ha deliziato con una miriade di informazioni sul mondo Marocco, nel mentre ci accompagna in giro per la città. Prima sua meraviglia è stata quella di non riuscirsi a spiegare come mai fossimo ancora vivi dopo il tour fai da te del giorno prima. Ci spiega che i posti visitati non vengono generalmente raggiunti da nessuna guida perché considerati pericolosi. Dopo questa perla di saggezza da lasciare ai posteri, perché a saperlo prima, probabilmente, non lo avremmo fatto neanche noi, saltando a piè pari la piazza, iniziamo con la visita delle tombe Saadiane, ovvero il complesso di stanze che ospitano il mausoleo dove sono sepolti il sultano Ahmad Al-Mansour ed i suoi figli. Risalgono al XVI secolo, ma furono scoperte nel 1917 quando furono aperte al pubblico. Sono più di 100 tombe decorate da mosaici, che conservano persino corpi dei servitori e dei guerrieri della dinastia Saadiana.

Seconda tappa, il Bahia Palace. Si tratta del più importante e grande edificio di Marrakech costruito verso la fine del 19° secolo ed inaugurato nel 1900, in pieno stile marocchino andaluso. Il palazzo copre una superficie di circa 8 ettari nel centro della città, ma la parte aperta al pubblico è molto inferiore. Sia per questo sito che per le tombe l’ingresso è pari a circa 10 dirham, circa un euro.

 


Finita la visita delle bellissime stanze del palazzo, sosta d’obbligo ad una Pharmacie.

Kaudja ci racconta, mentre passeggiamo nelle vie adiacenti Jemaa el Fna, che il popolo Marocchino prova un amore quasi viscerale per il loro nuovo re, il giovane Muhammad VI, questo perché la politica illuminata intrapresa dopo la successione ad un periodo quasi tirannico del padre, ha permesso al popolo di risollevare la testa dall’oscurantismo ed ignoranza in cui versava nei decenni precedenti, varando una serie di riforme, partite in primis da quella della scuola. Come nel corso del viaggio notiamo, la presenza di aule per le lezioni è stata incrementata esponenzialmente sul tutto il territorio, perché l’analfabetismo è nemico del paese e perché tutti devono avere diritto all’istruzione per poter avere una chance nella vita. Sicuramente il RE avrà avuto anche delle “ collaborazioni” poco ortodosse, ma gli interventi a sostegno della sua gente sono stati notevoli. Anche dal punto di vista economico, ci racconta orgogliosa, la nuova politica consente gli investimenti esteri, purchè sia impiegata manodopera locale. Un’economia più a favore della povera gente senza dubbio. Povera gente che sa anche di poter contare sull’aiuto diretto del RE, il quale, nel caso di bisogno reale, interviene con donazioni dirette sulla base della semplice richiesta motivata dalla gente.


Argan, oro del Marocco


Il nostro vero viaggio alla scoperta del Marocco inizia nel momento in cui ci allontaniamo da Marrakech. Il fatto che la città sia circondata dalle montagne dell’Alto Atlante si evidenzia prepotentemente dopo appena poche decine di chilometri. Lungo la strada che ci porterà vero i 2260 metri del passo del Tizi n’Tichka, il cambio di paesaggio è impressionante. La brulla campagna intorno alla grande città lascia spazio a verdi colline, prevalentemente alberi di ulivo e fichi d’india. Il rosso della terra, così carica di ossido di ferro, si alterna al verde delle piantagioni. Questo è il regno incontrastato dell’Argan, la cui pianta ricorda moltissimo l’ulivo, per cui la nostra impressione di ettari di uliveti non è sbagliata. Questa pianta è un vero e proprio patrimonio per la nazione, sia perché ha delle proprietà idratanti ed antiossidanti per pelle e capelli, ma anche perché rappresenta una lotta contro la desertificazione del paese.

La stessa storia della sua coltivazione è affascinante, perché in un mondo dominato da una cultura profondamente maschilista, tutto ciò che gravita intorno alla produzione dell’olio di argan, è divenuto simbolo dell’emancipazione delle donne marocchine. Infatti, negli anni 80, grazie alla creazione delle cooperative femminili, sulla base degli studi che dimostravano l’impatto positivo della coltivazione di questa pianta, si è notato come non solo gli effetti erano importanti sul piano ambientale perché in una regione arida come questa una pianta come quella dell’argan era un’arma vincente contro la desertificazione, ma anche sul piano socio-economico: attraverso il commercio equo, donne berbere ottenevano ed ottengono in cambio del loro lavoro  lezioni di alfabetizzazione  e pratiche igieniche, necessarie al vivere della comunità, oltre ad una percentuale sui ricavi delle vendite. Ecco perché acquistare direttamente presso queste cooperative femminili è il miglior modo per dare loro una mano.




All’interno di queste strutture, con le pareti generalmente ricoperte da tappeti, accovacciate per terra su cuscini o stuoie, queste operaie si dividono i compiti diligentemente: quelle che spaccano con due pietre il nocciolo per estrarre il seme, quelle che raccolgono i semi per la spremitura e quelle che passano nella macina decine e decine di semi per ottenere solo un litro d’olio dopo 8 ore di lavoro. Il procedimento è lungo e, per questo motivo, anche i costi del prodotto sono alti, ma il profumo intenso, quasi a ricordare le mandorle, che aleggia nell’aria già ripaga il turista occidentale che fa loro visita.


VERSO OUARZAZATE


Lo scenario che si apre lungo la valle che risale verso il passo del Tizi nTichka è un susseguirsi di tornanti a strapiombo su fiumiciattoli tortuosi, dove terra e fango sono il colore predominante. Ad ogni curva si apre un fotogramma di qualche vecchio film di Sergio Leone: paesini abbarbicati sulle sponde di un fiume il cui letto è quasi interamente allo scoperto, abitazioni fatiscenti o crollate a pezzi, e poi l’immensità della montagna. Non è raro, infatti, vedere la neve da queste parti. Raggiugiamo il passo, e con nostro enorme stupore, quella che era una delle strade panoramiche più fotografate al mondo, cede nei confronti di una moderna carreggiata molto più lineare e scorrevole.

 

Proprio su queste strade non è difficile trovare venditori di minerali, di cui il Marocco è ricchissimo, estratti in miniere collocate lungo le montagne. Sono di ogni forma, colore e dimensione. Spesso formato tascabile per agevolare vendita e trasporto.

 

AIT BEN HADDOU

Lasciandoci alle spalle la catena dell’Atlante, percorriamo la lunga strada che ci condurrà ad una delle attrazioni più spettacolari del paese, vale a dire la Kasbah di Ait Ben Haddou, uno dei 9 siti del Marocco protetti dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità.



Nata inizialmente come città fortificata, o Ksar, è posizionata lunga la rotta carovaniera che collega  il Sahara alla città di Marrakech. La sua imponenza e bellezza sono visibili anche da lontano, quando lungo la strada di avvicinamento, si staglia all’orizzonte quasi come un miraggio. Maggiore è l’effetto quando il fiume, Ouarzazate, che scorre alla sua base, riempie il suo letto con un velo d’acqua e l’intero Ksar sembra raddoppiare. Una magia da favole delle Mille e una notte, un’emozione fortissima e una carrellata di foto ricordo che non rendono giustizia alla  particolarità del luogo, in parte risalente al XII secolo. La sua fama è arrivata alle stelle specie quando moltissimi registi l’hanno selezionata come set per alcuni dei più grandi capolavori della storia del cinema, come Lawrence d’Arabia, Gesù di Nazareth, Il the nel deserto, Il Gladiatore. La vicina città di Ouarzazate è nota anche per essere la sede degli studios cinematografici del Marocco, tra i più apprezzati sul panorama internazionale.

Risalendo lungo le stradine sterrate degli edifici interni si possono proprio riconoscere alcuni degli ambienti utilizzati per le riprese, e se non sono riconoscibili ci pensano le “ guide del posto” a ricordarlo. Fortunatamente tutto il complesso non è stato abbandonato all’occupazione selvaggia di piccoli negozi e botteghe di souvenir, che invece dominano lungo la strada che costeggia l’area protetta, piena di ristoranti e piccoli Riad.

Lo spettacolo al tramonto, per chi può goderselo, sicuramente è da togliere il fiato.

Arriviamo nel tardo pomeriggio alla vicina Ouarzazate, la cui attrazione principale, oltre agli studios ed al Museè du Cinema, è la splendida Kasbah Taourirt.

Pernottiamo e ceniamo presso il Kenzi Azghor, un dignitoso 4 stelle, a poco distanza dal centro. La città è relativamente moderna, ma non nel senso delle principali del paese.

 

MERCATI E GOLE DEL TODRA


Lunga è la strada da percorrere prima di arrivare al Sahara. Due le soste fatte. Una prevista, le gole, l’altra suggerita da Rashid. Si tratta di un antico mercato nei pressi del villaggio di Skoura dove la gente delle montagne scende ogni mercoledì per vendere le sue merci: pelli, tessuti, latte e formaggi. Gli acquisti principali, ovviamente, generi di prima necessità come carne, abbigliamento o frutta. In effetti il mercato, chiuso in un quadrilatero di mura moderne, è un insieme confuso di baracche con le merci più variegate. Si passa dal venditore di datteri al fruttivendolo, dal macellaio al venditore di scarpe, rigorosamente usate, all’elettronica (vecchi televisori, radio e cellulari). I più organzzati i venditori di spezie, riconoscibili per l’ampia gamma di colori sui pancali.


Lungo quella che è chiamata la “Valle delle rose”, per l’enorme produzione di rosa canina, ampiamente utilizzata nell’industria cosmetica (difatti i negozi per la produzione e vendita sono tantissimi disseminati nella più ampia Valle delle 1000 Kasbah), si è sviluppata una sottile striscia verde, lungo le sponde del fiume Dades, che insieme a quella che si è sviluppata lungo le sponde del Draa, danno vita al più grande palmeto del Marocco, e forse del mondo arabo.

Proprio risalendo verso nord la vallata del fiume Draa, nel territorio di Tinghir, si arriva alla tappa obbligata di questa giornata, le gole del Todra.


Si tratta di un canyon scavato nella roccia dal fiume Draa, dopo millenni di attività di erosione. Gli ultimi 600m sono i più affascinanti perché i due lati della montagna si congiungono quasi arrivando ad una distanza di 10m. La portata del fiume non rende particolarmente difficoltoso il percorso, considerando la strada asfaltata di recente costruzione. Solo nel periodo delle piogge si può assistere ad un flusso con una portata maggiore di acqua ed a qualche possibile cascata dalle pareti, per via magari delle precipitazioni un po' più abbondanti. Il paesaggio è davvero insolito ma mozzafiato.




MERZOUGA E IL DESERTO


Ripercorrendo a ritroso la valle del fiume Todra ci avviciniamo sempre più verso la nostra fine tappa, cioè la località di Merzouga, la porta del deserto nell’Erg Chebbi. I paesaggi che si alternano sono incredibilmente vari: si passa dal verde accecante del palmeto al deserto di roccia, attraversato di tanto in tanto da diavoli di sabbia (piccole trombe d’aria tipiche delle regioni aride) fino all’immensità rosso-arancio dell’Erg. L’Erg è un agglomerato di grandi dune formatesi dall’accumulo di sabbia trasportato dal vento. Chebbi è uno dei due esistenti nel Marocco. Le sue dune più alte raggiungono i 150m di altezza. Giunti a Merzouga, breve sosta ristoro e registrazione presso il nostro hotel fronte deserto, per poi partire a dorso di un dromedario per vivere un’esperienza di una notte in bivacco, cioè il campo tendato nel deserto.

Nonostante stessimo percorrendo un sentiero sotto il sole, sulle sabbie del Sahara, il caldo era sopportabilissimo, per cui ciò ha reso ancora più piacevole l’escursione. L’emozione è stata veramente fortissima, perché oltre al dondolio del dorso dell’animale, il colore della sabbia e la vista a perdita d’occhio degli spazi infiniti che il deserto ti riserva, null’altro è intorno a te. Un silenzio assordante, interrotto solamente dal respiro del nostro mezzo di trasporto o dal sibilo del vento. Arrivati al campo, dopo circa due ore di traversata, il tempo del tramonto era propizio. Scesi giù dal Dromedario, tolte le scarpe, la sensazione di terrore nel dover mettere i piedi sulla sabbia rovente è stata subito attutita perché oltre lo strato superficiale, la sabbia sotto è fresca. Quindi, sdraiati con i piedi rigenerati e lo sguardo perso verso l’infinito, ci siamo goduti il calare del sole.

La sera cena con i nostri commensali, una coppia di olandesi ed una di americani, con la tipica tajine di pollo e verdure. Poche chiacchere e pochi incroci di sguardi, forse la stanchezza era tanta. La notte nel deserto la nostra tenda è attrezzata con delle stuoie distese per terre, come dei futon, coperte da lenzuola e coperte per quando le temperature sarebbero diminuite. Effettivamente l’atmosfera all’interna non sembra richiedere coperte, ma col passare della notte la temperatura crolla ed il tepore della tenda si trasferisce sotto le coperte.


La notte sotto un cielo stellato privo di inquinamento di luci, se non quelle delle stelle è uno scenario quasi struggente. Sveglia prima dell’alba per assistere al sorgere del sole. Questa grossa palla infuocata che spunta da dietro l’orizzonte, è uno spettacolo di rara bellezza che provoca delle emozioni fortissime. Specie se il punto di osservazione è la duna più alta. Una fatica la salita, ma che visuale!

La tavolozza di colori, che dai toni scuri della notte volgono a quelli chiari del mattino, sono un ricordo impresso nella mia mente.


                                          

ZAGORA, SULLA STRADE DEL RITORNO


Dopo Merzouga è la volta di Zagora, piccola città di circa 35mila abitanti  situata anche essa sulla dorsale sud del Marocco, al confine con l’Algeria.  Prima di arrivare in città, che ha rappresentato una tappa di avvicinamento a  Marrakech, sosta al piccolo villaggio di Tamergroute, sede di un’antica  biblioteca coranica e posto lungo la via di collegamento con la strada  carovaniera che porta a Timboctou, nel Mali. La biblioteca, risalente al XII  secolo, in realtà non è altro che una stanza molto grande ed asettica (ubicata  nel complesso denominato Zaouia Naciria), in cui sono raccolti e ben visibili  testi coranici molto antichi. Interessanti i racconti del vecchio bibliotecario,  accompagnati dall’immancabile mancia finale. Visitiamo anche alcuni passaggi  di una kasbah ancora abitata al suo interno ed un negozio di Poterie  traditionelle, cioè un negozio di ceramiche tradizionali, artigianali, con tanto  di forni dove cuocere le creazioni. Tutto molto originale ed interessante.  Shopping nel deserto da non perdere, prima di rientrare in hotel.

Questa volta ad ospitarci è il Palais Asmaa, un 4 stelle che sicuramente avrà  avuto tempi migliori, ma che conserva il fascino proprio di un’epoca che pur  non essendoci più, in questo luogo sperduto sembra essersi cristallizzata.  Grandi giardini con piscina, alte palme, camere in stile arabo enormi e  dall’arredamento in legno intarsiato. Un po' demodè, ma per noi, affascinati  dal mito di Lawrence d’Arabia o dalle scene di Un the nel deserto, tutto va  bene. Cena romantica in giardino alla presenza dei camerieri, dei pochissimi  ospiti, di un gatto e per soffitto un incredibile cielo stellato.


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SOPRESE A MARRAKECH


Lasciato le atmosfere intime dell’hotel di Zagora rientriamo, dopo un lungo  viaggio, a Marrakech. Pernottiamo nello stesso alloggio dei primi giorni.  Avendo un giorno intero ancora a disposizione decidiamo di partire alla  scoperta di uno di quei siti che negli ultimi anni è diventato tappa  imprescindibile di un soggiorno in città, cioè i Giardini Majorelle. Situati a  Nord Ovest della medina, nei presi dell’autostazione, la bellissima residenza  dello stilista francese Ives Saint Laurent, è divenuta un sito di interesse  turistico che offre al visitatore un museo del popolo berbero ed un giardino  botanico. Creato su commissione del pittore francese Majorelle, la residenza in  stile moresco, fu usata anche come studio per le sue opere. Il giardino  botanico stesso è una lussureggiante opera d’arte, con forme e colori dalle  forti tinte di blu (blu majorelle appunto). Negli anni 60, se ne innamorò lo  stilista Saint Laurent che ne fece la sua residenza privata nel 1980.  





Al termine della visita percorriamo a piedi la strada che ci separa dalla Medina nella sua parte occidentale, decidendo di visitare uno dei tanti Riad che affollano il centro di Marrakech, come tipica costruzione (casa giardino) del Marocco. Ci imbattiamo in uno che, a prima vista sembrerebbe una semplice abitazione privata, dal bel portale di ingresso, ma che dopo la prima stanza, adibita a reception, si snoda in un dedalo di corridoi e saliscendi di scale e giardini e stanze che ci hanno lasciato a bocca aperta. La varietà e la grandezza inaspettata degli ambienti, la ricchezza degli arredamenti, la cura dei giardini. Un colpo di fulmine. La Maison Arabe è stata una conferma della ricercatezza e del gusto marocchino (per approfondimenti sui Riad, dai un’occhiata a Riad e charme)

La nostra esperienza nel regno del Marocco è stata una piacevole scoperta di un mondo arabo molto meno chiuso ed ottuso rispetto a quello che ci si aspetterebbe. Una finestra su un’innata inclinazione artistica al bello ed al buon gusto. Un tesoro da tenersi stretto, ma al contempo da condividere con il mondo intero. Tante meraviglie, molte dal passato, ma con un futuro che sta imparando a gestirne l’eredità.

 

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